INTRODUZIONE

Che cosa vuol dire scrivere una storia della Sindone? Non credo sia possibile rispondere a questa domanda senza prima avere affrontato una questione ben più fondamentale: che cosa è la Sindone? E qui il discorso si allarga a dismisura, perché molteplici sono gli aspetti che possono essere presi in considerazione. Di conseguenza la risposta non può essere né semplice né univoca. Se ci poniamo dal punto di vista del rapporto che gli uomini hanno nei suoi confronti – quello che come vedremo qui più ci interessa – si riscontrano posizioni quanto mai complesse e variegate. Molti la considerano una reliquia, anzi la più significativa delle reliquie del passaggio di Cristo sulla terra, su cui è dunque impressa la vera e unica effigie del Salvatore impreziosita dal suo stesso sangue. Alcuni vanno ancora oltre sino a voler pericolosamente trovare in essa le tracce fisiche della sua gloriosa resurrezione. Altri, prescindendo dalle proprie convinzioni circa la sua origine, sottolineano l’importanza di un oggetto il cui innegabile rimando alla Passione di Cristo ne fa una realtà unica dal punto di vista religioso, con enormi potenzialità pastorali e spirituali, ma anche capace di suscitare l’interesse intellettuale degli studiosi di tante discipline. Altri ancora lo bollano come un falso più o meno antico, comunque non meritevole di alcun interesse, o al massimo degno di comparire in un ipotetico museo dei grandi inganni della storia. Tali posizioni spesso si intrecciano e sfumano l’una nell’altra, si confrontano e si scontrano, a testimonianza in ogni caso del fatto che l’incontro con la Sindone non lascia indifferenti.

Come si vede la maggior parte delle risposte presuppone la questione della cosiddetta “autenticità”, termine per alcuni versi fuorviante che comunque qui utilizzeremo nel senso in cui esso viene generalmente inteso: l’appartenenza della Sindone al corredo funerario di Gesù. In particolare, a partire dalle conseguenze della fotografia della Sindone effettuata nel 1898, l’indagine scientifica diretta sul telo  con il fine di scrutarne le caratteristiche e definirne l’origine ha in qualche modo monopolizzato l’attenzione, con il rischio di oscurare il significato e il messaggio che quell’immagine sa trasmettere. La stessa ricerca storica quasi sempre è stata utilizzata in questo senso, come una delle leve per dimostrare o negare la tradizione che vuole la Sindone essere il lenzuolo funerario di Gesù. Personalmente non credo che questo sia l’approccio più corretto e soprattutto fruttuoso. Il frustrante tentativo di costruire una concatenazione di eventi lungo duemila anni, come anche la sistematica critica distruttiva di ogni ipotesi, non portano alcun contributo, in quanto entrambe impostazioni mosse dalla preoccupazione – che una studiosa, Odile Celier, non esitò a definire “ossessione” – dell’autenticità. Occorre lasciare alla ricerca diretta sull’oggetto di rispondere alle pur legittime domande sull’origine di questo misterioso Telo. Andando invece al cuore della questione, che riguarda la più profonda essenza della Sindone, ho più volte affermato che a mio avviso essa presuppone due punti di riferimento ben precisi. La Sindone è stata – provvidenzialmente per il credente – posta sul cammino della storia perché gli uomini si confrontino con essa. La guardino, perché è oggetto da guardare con gli occhi del corpo e contemplare con quelli della mente. Senza di essi, senza gli uomini, la Sindone non è in grado di esistere nella sua complessità e completezza. D’altra parte la Sindone non sarebbe nulla se non fosse “lo specchio del Vangelo” – secondo la felice espressione utilizzata da s. Giovanni Paolo II nel 1998 – quindi se non fosse riferimento straordinario a Cristo. Senza Cristo la Sindone semplicemente non sarebbe.

Debbo confessare che a seguito di queste riflessioni, più volte nell’arco di ormai tanti anni di studio della storia della Sindone mi sono io stesso rivolto la domanda posta in apertura: che cosa vuol dire scrivere una storia della Sindone? Non faccio fatica ad ammettere il poco fascino che esercita su di me il problema della autenticità – che per altro mi interessa intellettualmente – ed a maggior ragione per quanto riguarda il dominio storico. Spesso ricordo la laconica affermazione di Paul Vignon – dopo oltre 35 anni di lavoro e ricerca sulla Sindone – a proposito della ricostruzione della storia della Sindone al fine di chiarirne l’origine: “Se fosse solo per quella non ci si metterebbe nemmeno in cammino”. Abbandonando dunque la pretesa di dimostrare o meno l’autenticità della Sindone attraverso l’indagine storica – compito che, ribadisco, non le spetta – occorre orientare il senso della ricerca in questo campo allo studio del ruolo che essa ha ricoperto nel complesso scenario della storia dell’uomo. E a loro volta molti accadimenti relativi ed intorno alla Sindone possono essere spiegati solo attraverso la conoscenza di quella storia. Sotto questo aspetto lo studio della storia della Sindone deve prendere atto che per il credente essa rappresenta un piccolo ma non insignificante frammento del grande disegno provvidenziale di salvezza, quale oggetto dalla imprescindibile valenza religiosa. Diventa quindi importante ricostruire, attraverso lo studio dei documenti, di qualsiasi specie, se e come la Sindone abbia svolto tale ruolo attraverso la sua presenza e il suo messaggio, e quanto e in che modo abbia inciso sugli uomini che ne sono venuti a contatto, in contesti storici, culturali, religiosi complessi e differenti, ovviamente laddove le fonti ce lo consentano, senza forzature e sterili polemiche. Questo approccio non è fine a sé stesso, ma può rappresentare un ottimo metro di giudizio anche per valutare le potenzialità ecclesiali della Sindone, affinché quel piano provvidenziale continui a produrre i suoi frutti. Dando quindi per assodato il fatto che lo storico, per quanto si sforzi di essere oggettivo, finisce pur sempre per porre una griglia interpretativa su cui modellare il proprio metodo, denuncio subito la mia. Col procedere degli studi mi sono sempre più convinto che la Sindone ha storicamente avuto un ruolo – che si può certamente definire provvidenziale – nello sviluppo della pietà verso il mistero dell’umanità di Cristo: questo mi condurrà a privilegiare il significato che si può attribuire gli avvenimenti accaduti alla Sindone, piuttosto che la narrazione degli avvenimenti stessi. Quindi non solo e non tanto che cosa racconta un documento, ma perché lo racconta, e lo racconta in quel modo, il che implica anche la ragione del documento stesso. Studiare la storia della Sindone vuole quindi anche dire ripercorrere la storia della pietà verso un oggetto che nello stesso momento è ritenuto immagine ma anche reliquia – l’equilibrio ed il rapporto tra le due interpretazioni è alterno nel tempo e rappresenta uno degli argomenti più interessanti per capire il ruolo della Sindone nella storia – immagine e reliquia di Cristo nel momento culminante del mistero dell’incarnazione: partecipe dunque della storia della pietà e devozione verso elementi cardini della fede. Ne risulterà l’evidenza di una sua caratteristica essenziale. Essa ha attraversato epoche, culture, crisi, senza mai smettere di avere un significato, di portare un messaggio. Credo che questo sia il risultato di quella funzione mediatrice e di referenze cui ho fatto cenno, e che rende palese al credente quel disegno provvidenziale dell’esistenza della Sindone. Ovviamente questo non prescinde dal necessario, preliminare, approfondimento delle fonti, per valutarne attendibilità e coerenza, senza però mai isolarle dal loro contesto e da quello della ricerca. Debbo dire che i risultati di questa impostazione mi sono sembrati soddisfare le premesse, anche se in quest’ottica occorre rivedere alcuni elementi dati per scontati.

Tradizionalmente la storia della Sindone viene divisa in due grandi periodi. Lo spartiacque è tracciato alla metà del Trecento, quando la Sindone compare in Francia. Da allora sino ad oggi possediamo una storia certa, che consente di affermarne l’identità con quella che si conserva a Torino e seguirne le vicende. Il periodo precedente è invece connotato dalla mancanza di documenti di qualsiasi tipo tali da consentire una identificazione sicura dei diversi oggetti a cui viene attribuito un rapporto con la Sindone di Torino. Anche in conseguenza di questa visione troppo spesso si è fatto della Sindone un oggetto “extrastorico”, qualcosa che ha o deve avere una sua storia, ma posto al di fuori della storia. Partendo invece dalla prospettiva che ho indicato, dove la storia della Sindone, o meglio la vera essenza della storia della Sindone, la venerazione ad essa tributata in quanto espressione del rapporto con i fedeli, fa parte della più ampia storia della Chiesa, della storia della pietà in seno ad essa, tale periodizzazione tradizionale si rivela troppo generica ed anche fuorviante in quanto ancora strettamente legata alla questione dell’autenticità: se la Sindone deve essere considerata nel suo rapporto con la storia degli uomini ed in particolare della Chiesa, è a questa che dobbiamo fare riferimento. Mi è dunque parso di poter individuare alcune fasi inserite in momenti importanti della storia della Chiesa, soprattutto intesa come storia spirituale, che consentono di connotare diversi approcci alla Sindone. Accantonati i due grandi periodi tradizionali, propongo una diversa scansione della ricostruzione della storia della Sindone, identificando dei periodi legati appunto al rapporto della Sindone – immagine e reliquia – con gli uomini e la loro storia, che possiamo indicare come: della ricerca di un volto; di una presenza tollerata; di una presenza accolta e di un culto ammesso; di una presenza e di un culto promossi; del dibattito scientifico.

Cronologicamente partendo dal tempo più antico, ritengo si possa concordare sul fatto che ben presto nella storia della Chiesa e delle manifestazioni di pietà e devozioni in seno ad essa, si incontrano notizie della conservazione del corredo funerario di Cristo, compresa la sindone – in quanto elemento fondamentale della sepoltura di Gesù citato nei vangeli – ; che alcune notizie, pur di complessa interpretazione, consentono di valutare l’ipotesi dell’esistenza di una sindone figurata e che certo esistevano immagini di Cristo oggetto di grande venerazione. Ed è sul tema dell’immagine, come ho cercato di dimostrare in altri scritti, che si apre veramente una nuova prospettiva. Se non esistono documenti in grado di identificare la Sindone di Torino con quella o quelle citate nell’antichità, tuttavia un legame fortissimo c’è, ed è fondamentale: si tratta della storia della devozione e della pietà. Occorre ribaltare una prospettiva consolidata. La devozione e la pietà verso la Sindone non sono necessariamente alla base, ma piuttosto sono gli esiti – che poi divengono quasi paradigma – di tutta una tradizione della Chiesa sin dai primi secoli: dalle catechesi di Cirillo di Gerusalemme, alla difesa delle immagini di Giovanni Damasceno, dalla devozione all’umanità di Cristo, connotata da san Bernardo e san Francesco, alla sistematizzazione Tridentina, alle nuove prospettive magistralmente delineate da Giovanni Paolo II nel 1998 e da Benedetto XVI nel 2010.

Per quanto riguarda dunque il periodo più antico, alla luce di questa impostazione e dei dati sino ad ora acquisiti, è sicuramente interessante ripercorrere se non tutte, almeno le più note ipotesi relative all’esistenza – o forse meglio tradizione – di un oggetto dalle caratteristiche compatibili con la Sindone in tale periodo, evidenziandone con serenità pregi e difetti, evitando posizioni oltranziste o ipercritiche, pur nella coscienza che allo stato attuale della ricerca non possiamo, da un punto di vista strettamente documentale, risalire oltre la metà del XIV secolo. Con questo non si vuole eludere la questione, ma svincolarsi da quella ossessione dell’autenticità che – ripeto – appare essere alla base di entrambe tali posizioni. Troveremo infatti che, nell’ottica appena descritta, una sottile ma robusta linea di continuità esiste, fondata sul rapporto tra gli uomini e le fattezze del Dio fatto uomo, attraverso una ricerca che ha interessato i fedeli sin dall’antichità, dopo che faticosamente la Chiesa risolse le numerose questioni relative alla domanda relativa a “chi” fosse Gesù Cristo. Solo allora, una volta riconosciuta la coesistenza della natura umana e di quella divina nella persona del Figlio incarnato, vero Dio e vero uomo, con una sua ben precisa individualità, ci si poté porre la questione del suo aspetto, da cui discende il problema della sua riproducibilità, problema che si rivela complesso, non tanto e non solo dal punto di vista estetico, quanto soprattutto teologico. Si pensi alla crisi iconoclasta dell’VIII secolo, giustamente definita l’ultima grande controversia cristologica. Definiremo questo periodo la ricerca di un volto, di cui è compartecipe di diritto l’immagine impressa sulla Sindone, tanto che in qualche modo tale ricerca troverà il suo esito finale proprio con la sua comparsa nel Trecento. Una comparsa non semplice né scontata. Vedremo come quest’ultimo rappresenti un periodo molto delicato dal nostro punto di vista, in quanto è proprio nel momento più drammatico della storia della Chiesa medievale, ed anche quello in cui la pietà verso i segni materiali corre seriamente il rischio di derive pericolose, che compare un oggetto complesso e inquietante come la nostra Sindone, la cui sopravvivenza è resa possibile dalla sua fondamentale caratteristica di immagine. Questa constatazione storica – valida allora come oggi – ci riporta all’evidenza che l’approccio immediato alla Sindone è con l’impronta che il telo racchiude. La questione se si tratti anche di una reliquia – dunque se sia la “vera” sindone evangelica, con tutto ciò che ne consegue – necessita di un approfondimento razionale, e viene quindi dopo la spontaneità del rapporto con l’immagine. In questo senso veramente si può dire che la Sindone rappresenti oggi anche un paradigma del rapporto scienza e fede. Questo primo periodo in Occidente lo possiamo definire, a causa delle reazioni che studieremo a fronte della comparsa dell’insolito oggetto e del modo in cui la questione fu risolta, il tempo della presenza della Sindone tollerata. Ma è anche il periodo che lentamente porta alla normalizzazione del rapporto dei fedeli con la Sindone, attraverso l’intervento della Chiesa e la concessione del culto pubblico da parte di papa Giulio II nel 1506, dopo che essa trovò una più istituzionale e certa collocazione nell’ambito sabaudo. Dal memoriale di Pierre d’Arcis e dalle prescrizioni di Clemente VII di Avignone – di cui tra breve parleremo – ai provvedimenti di Giulio II sembra esserci un abisso, che invece non esiste se si considera il percorso alla luce della storia della Chiesa e all’evoluzione della pietà. E’ questo il momento in cui la presenza della Sindone è accolta e il suo culto ammesso per essere poi, nel fecondo periodo della Riforma cattolica, promossi. La seconda metà del Settecento e poi l’Ottocento segneranno un certo allontanamento sospettoso dalla Sindone da parte di alcune élite – anche ecclesiastiche, nelle quali fanno breccia alcune istanze razionaliste ed illuministe – da cui restano immuni il cuore e la pietà dei fedeli. Sarà la fotografia eseguita da Secondo Pia, con il risultato di rivelare l’insospettata caratteristica di negativo fotografico dell’impronta sindonica, che riporterà di colpo la Sindone al centro dell’attenzione. Questa volta il problema diventerà di carattere scientifico, che addirittura rischierà in certi momenti di arrivare ad offuscare il messaggio della Sindone. È in quest’epoca che ha inizio quella “ossessione” della autenticità. Se nel primo periodo della storia nota abbiamo visto prevalere il tema dell’immagine, al quale nei tempi seguenti si affianca quello della reliquia, in un rapporto che tutto sommato, pur tra alterne vicende, rimane equilibrato, da questo momento il problema dell’aspetto “reliquia” o se si preferisce “autenticità” con definizione più laica, prende il sopravvento. Con il risultato di arrivare a subordinare la possibilità e la stessa utilità di una ostensione alla soluzione di tale aspetto. Gli interventi dei Sommi Pontefici, a partire da Paolo VI, riporteranno la questione nella giusta prospettiva: ancora oggi viviamo in un periodo che possiamo definire del dibattito scientifico, dove tuttavia il recupero di una attenta pastorale sindonica ha consentito di raggiungere un equilibrio che ha portato ai risultati straordinari delle ultime ostensioni.

Prof. Gian Maria Zaccone - Direttore Centro Internazionale di Studi sulla Sindone